Omelia 26 ma. anno A del 01.10.2017

 

Un’altra parabola; ancora due figli:  di fronte all’ordine del padre, il figlio più spavaldo si permette un rifiuto, suo fratello ossequiente si dichiara disposto.

A prima vista la nostra simpatia va a chi acconsente, ma le cose si rovesciano quando si tratta di corrispondere. Il figlio, che ha negato, esegue l’ordine; l’altro si ritira.

Proviamo leggere l’animo dei due personaggi: il primo è schietto e manifesta la sua indisposizione, sembra un fannullone, non ce l’ha con il padre, ma al momento ha qualcos’altro da fare, poi ci ripensa e si mette a lavorare. Il secondo ha un po’ di rispetto umano nei confronti del padre, nasconde il suo stato d’animo e non è coerente con quello che dice.

Mi pare che ci sia in gioco il rapporto con il padre: chi è andato a lavorare ha capito di aver dato un dispiacere al genitore, sente che il papà gli vuol bene e vuole farlo contento. Chi invece si accontenta dell’apparenza, del buon viso, nasconde un distacco, non riconosce il rapporto figliale.

Al di fuori della parabola Gesù dice che il regno di Dio è di coloro che pur facendo il male, mantengono un animo retto e sanno riconoscere l’amore vero. Così i peccatori , i corrotti: la loro insoddisfazione, il loro vuoto li induce a cercare chi li accoglie.

La parabola è per noi: non possiamo ritenerci figli prediletti  e usare il rispetto umano per salvare la nostra posizione di buoni cristiani  trascurando la volontà del Padre.

Siamo tutti chiamati perché amati: tante volte scoprono prima la bellezza dell’amore quelli che ne hanno più bisogno, che si sentono falliti sulla strada del bene; e chi già ne gode la disprezza.