DOMENICA 19 APRILE II° DI PASQUA

maxresdefaultTesto del Vangelo

Giovanni 20,19-31

Del bellissimo e conosciutissimo testo di questa domenica prendo in considerazione la prima parte: spesso ci si sofferma sulla interessante e simpatica figura di Tommaso, però oggi mi provoca molto quello che avviene prima… portate pazienza!

“La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei”

Coloro che avevano abbandonato tutto per seguire Gesù,

hanno finito per abbandonare Gesù e fuggire tutti.

La paura è una brutta bestia, quando si impadronisce di noi ci toglie ogni forza, ogni possibilità di resistenza; ci rende vili, perché ci toglie la responsabilità. Nel caso dei discepoli, spesso anche il nostro caso, toglie la responsabilità della fede, dell’amore, della speranza.

Quella speranza nata dall’amore che avevano sperimentato, che li aveva coinvolti nella vita di Gesù, quell’amore che li aveva motivati alla sequela, quella fede che cresceva mentre da lui erano stati accompagnati e fatti crescere come credenti… sopraggiunta l’ora della “prova”, della “crisi”, vengono oscurati dalla paura. Una paura che debilita la loro fede, fa dimenticare il loro amore reale per Gesù, annebbia la loro esile speranza.

Quei discepoli “non riescono più a rispondere” a quanto avevano ricevuto e sperimentato: negano, per paura, ciò che avevano vissuto, la loro identità, i loro rapporti con Gesù, e dunque stanno in casa al chiuso, “per paura dei giudei”.

A pensarci è davvero tanto triste: le porte della casa che erano state spalancate dall’amore incondizionato di Gesù, nel vivere l’ultima cena con Lui, ora sono chiuse, in attesa che ritorni la calma, la sicurezza, forse desiderando che ci si dimentichi di loro, così che possano fare ritorno in Galilea, alle loro case.

“venne Gesù, stette in mezzo” 

A dispetto di questa triste realtà Gesù, il Risorto, viene. Viene oltre le distanze messe dalle loro chiusure e oltre la loro paura che ha provocato l’abbandono del suo amore.

E sta nel mezzo, al centro, ma anche dentro, al centro.

E porta la sua pace.

La prima esperienza di resurrezione che fanno i discepoli è che nel luogo chiuso dove loro si trovano, sperduti e confusi nelle loro paure, Lui è lì presente in mezzo a loro, al centro, e annuncia la pace!

È lì che anch’io posso fare esperienza del Risorto: esattamente nel chiuso delle mie paure.

Come il Risorto è uscito dal sepolcro, se no, non è risorto, così lo incontro nelle mie paure e nelle mie contraddizioni, nelle mie “morti”, se no, è inutile, io non sono risorto. E’ nel buio della mia paura e del mio tradimento è lì che, il Risorto, mi fa risorgere. Mi dona pace!

Ai discepoli l’annuncio/dono della pace è accompagnato dal mostrare le mani e il fianco. Quelle mani che hanno lavato loro i piedi e quel costato dal quale è uscito tutto il sangue che ha lavato/purificato l’intera umanità, in un gesto d’amore che accoglie tutto, anche il rifiuto e l’odio e la violenza assassina.

Noi con le nostre mani facciamo e disfiamo tutto; le sue mani hanno lavato i piedi, le sue mani sono state inchiodate in Croce, inchiodate in un abbraccio esterno a servizio dell’uomo.

Questo è il potere della mano di Dio, del Signore!  

Ed è lì che conosciamo il Signore.

Ed è una esperienza di pace e di gioia.

Siamo oggetto del suo amore infinito, il Signore ci viene a visitare nel nostro buio, sta lì, ci dona la pace, e ce la dona facendoci vedere, mostrandoci ancora e ancora il suo amore per noi, le sue mani, il suo fianco. Solo da qui scaturisce quella gioia e quella pace che nutrono la nostra vita.

“Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi.”

Vi ho dato un esempio: come io ho lavato i piedi a voi, lavatevi i piedi gli uni gli altri.

Gesù si identifica con noi. Lui è stato inviato dal Padre a rivelare l’amore del Padre verso gli uomini. E noi diventiamo come Lui, siamo figli che rivelano l’amore del Padre ai fratelli.

La nostra missione è la stessa di Gesù.

E’ come se ci dicesse “avete il mio stesso Spirito, il mio stesso Padre, gli stessi fratelli da amare, fate come me”.  Questa è la missione che affida ai discepoli, e a ciascuno di noi.

E con queste parole noi diventiamo figli: è andando verso i fratelli che noi diventiamo figli del Padre che è Padre di tutti, diventiamo figli perché abbiamo l’amore del Padre.

Questa è l’unica missione del Cristianesimo: trasmettere questa testimonianza d’amore.

Se il Crocifisso ha una importanza grandissima per noi, non ce l’ha come segno esterno da appendere qua e là, ma è proprio per la nostra missione: avere un amore più grande di ogni odio, di ogni egoismo, di ogni male, verso tutti. È la missione del Figlio, Gesù Cristo.

E’ la missione del battezzato nel Figlio, Gesù Cristo.

“Ricevete lo Spirito Santo”

Poi fa anche un gesto, respira forte e alita sui discepoli per trasmettere loro il suo respiro, il suo soffio, il suo Spirito.  Quel soffio effuso sui discepoli può diventare il loro respiro.

Hanno lo stesso respiro di Gesù, quando, come Gesù, sanno perdonare gli uomini e le donne che incontrano.

Gesù chiede solo che, avendo il suo respiro, anche noi siamo capaci di perdono verso tutti…

Sì perché lo Spirito di Dio si manifesta in una cosa “molto semplice”: nel perdonare i peccati!

Noi abbiamo il potere di Dio che è quello di perdonare.

L’unico potere che ha Dio è quello di perdonare.

Noi conosciamo tanti poteri, di tutti i tipi …

Ma l’unico potere che Dio conosce è donare, perché è amore; e quando l’amore è trasgredito allora si rivela come assoluto e incondizionato e diventa “perdono”, super-dono: dono che supera ogni limite, ogni aspettativa.

E noi abbiamo tutto il potere di Dio: perdonare.

E per fare questo ci dà il suo Spirito, dicendoci: “accoglilo, ricevi, accogli il mio amore, che io da sempre ho per te e vivi di questo, diventi anche il tuo stile di vivere”.

Perché se ho l’amore del Padre e del Figlio, necessariamente perdono ai fratelli; se non li perdono non ho l’amore del Padre che ama tutti come figli; non ho l’amore del Figlio che ama tutti come fratelli.          Non è facile, non è scontato.

Ma questo è il cammino: aprirci alla prospettiva del perdono, sempre.

Sempre il Signore sta in mezzo, al centro, delle nostre paure e dei nostri fallimenti per ridirci “pace a voi”

Perché sicuramente è la nostra esperienza più vera: la vita si apre ad una speranza gioiosa dove c’è perdono, se no …sarà solo un susseguirsi di gesti spietati.

E se non perdoniamo, non saranno perdonati i peccati. Non perché Dio non perdoni, Dio perdona sempre, ma qui ora abbiamo noi il potere di perdonare, e ciò che noi non perdoniamo, non è perdonato. Di fatti posso vendicarmi, posso far di tutto per perpetuare il male.

…e poi avere anche la sfacciataggine di domandarci: dov’è Dio?

E Lui a ripeterci al centro, dentro le nostre porte chiuse: Io sono qui, inchiodato sulla Croce… e tu?

Io sono qui, a donarti il mio respiro che è vita perché è perdono… e tu con che respiro vivi?

Dobbiamo perdonare o ritenere i peccati? Sembra una contraddizione.

I termini “rimettere” o “ritenere” sono due termini opposti, come entrare e uscire, che indicano la totalità del potere. Abbiamo tutto il potere del perdono, quindi usiamolo!

Se non lo facciamo sprechiamo il dono di Dio in noi!

Questo è il primo senso del testo.

Perché Dio è soltanto perdono; se non perdoniamo tagliamo il circuito della vita che Dio continua a donare al mondo …e noi stessi ci tagliamo fuori.

Quindi abbiamo a fare i conti con una grossa responsabilità, quella di perdonare sempre, comunque.

Ma la comunità può avere il potere di “ritenere i peccati”: dichiarare quando il peccato non è stato perdonato. Uno che abbia ammazzato o rubato dice: “ho fatto bene e fessi sono coloro che si fanno derubare e si fanno ammazzare!” Questo peccato non è perdonato.

Il peccato rimane, ma non per condannare la persona, per farle prendere coscienza del male che ha e che fa, in modo che ne possa uscire.

Perché quella persona possa vivere un momento di verità e di giustizia guardando negli occhi chi ha ucciso e defraudato, per far percepire che la vita è sprecata e spregevole se è vissuta da “non figlio”, da “non fratello”.

Esiste anche questo potere di denuncia del peccato, sì!

è un grande atto di misericordia dire che il male è male.

Perché il bene, l’amore che nutre la speranza e che salva, è decisamente un’altra cosa!