Omelia 28 ma. anno A del 15.10.2017

“ Abiterò per sempre nella casa del Signore”: è un grido di gioia, che abbiamo ripetuto con il salmo responsoriale.

‘Abiterò per sempre … ’ Ho una casa dove abitare, e in questa casa c’è festa perenne, la festa del figlio del Re; sono invitato anch’io.

Ma che festa è? Che cosa succede?  Altro che gioia: gli invitati si scusano, volano insulti, ci scappano i morti, la città è messa a ferro e fuoco.

Immaginate lo sposo, che è in attesa; e la sposa dov’è?

Ma bisogna far festa! Gli sfaccendati non se lo fanno dire due volte e approfittano di corsa dell’invito. Non è però subito festa: qualcuno merita di essere preso per il ‘copino’ e il butta-fuori entra in azione.

Viene da dire “Poveri sposi, comincia male!”. Comunque il matrimonio è avvenuto, i due sposi si amano; si tratta di partecipare alla loro gioia. Il profeta Isaia ha anticipato questa festa: ‘Ecco il nostro Dio, in Lui abbiamo sperato perché ci salvasse: Questi è il Signore in cui abbiamo sperato, rallegriamoci ed esultiamo … ’

Le profezie si realizzano e la parabola diventa realtà: Gesù è lo sposo, la sposa è l’umanità; i primi invitati sono i capi del popolo d’Israele, che si scusano e disprezzano l’invito perché non capiscono l’amore di Dio e non accettano la salvezza portata da Gesù e annunziata dai profeti. La sala di nozze comunque è aperta a tutti, tutti possono sentirsi amati dallo sposo come la sposa; però a nessuno è consentito di fare a modo suo.

Abiterò per sempre nella casa piena di luce, di canti e addobbata a nozze; l’amore dello sposo per la sposa mi contagia, mi lascerò amare come una sposa, mi zampillerà dentro la voglia di amare.

Gesù sposo ha unito a sé la mia umanità, ed io andrò ad abitare nella casa del mio sposo.