Omelia 31 ma. anno A del 05.11.2017

Ascoltando questo vangelo, anche la Chiesa, anche i Cristiani riconoscono il pericolo del peccato di ipocrisia. Come gli Scribi e i farisei anche noi  andiamo in cerca dell’apparenza, ci serviamo del Vangelo per vantarci, ci riteniamo giusti, buoni, retti …

La vita diventa un teatro, dove è importante solo l’immagine, è come un carosello  di pubblicità dove si esaltano le qualità di un prodotto e si tacciono i limiti e le imperfezioni. Applichiamo le etichette che garantiscono la genuinità delle nostre origini, partecipiamo ai Sacramenti, facciamo le nostre devozioni come fossero un vestito, mentre non viviamo di Gesù.

Anche il Vangelo può diventare esteriorità: se lo prendiamo come legge e lo pratichiamo con scrupolo per sentirci a posto con Dio.

Il Vangelo è Gesù vivo; accogliere il Vangelo, la Parola di Gesù vuol dire entrare nello Spirito e nella persona di Gesù, avere lo stesso rapporto filiale di Gesù con il Padre, rapportarci con gli altri come fossimo noi stessi.

Apparire di fronte alla società, attirare l’attenzione ci dà l’illusione di essere realizzati: è come possedere l’auto grossa senza necessità, è come il giovane innamorato che accondiscende alla fidanzata senza convinzione.

Gesù ci dice che la vita è servire, aiutare, condividere, comprendere; invece: crearsi una posizione, essere rispettati è una dimensione diversa.

Auguriamoci che ‘solo il Padre veda le nostre opere buone!’, quelle che compiamo con il cuore sincero, umile, innamorato di Lui e dei fratelli.