TRACCE PER L’OMELIA – DOMENICA 16 fEBBRAIO 2019

Luca 6,17-26

Le Beatitudini sono dono, buona notizia e programma di vita

Con la proclamazione delle “beatitudini” ha avuto inizio l’annuncio del Regno di Dio che non è regolato dalla logica di questo mondo, ma da principi che vi si oppongono.

Il nucleo centrale del ministero di Gesù in questa prima parte del vangelo di Luca

è costituito dal “discorso della pianura”, diversamente da Matteo che lo pone sulla montagna.

Gesù presenta un programma di vita, certamente difficile, per liberarsi dai falsi valori del mondo e aprirsi ai veri beni, presenti e futuri.

Si tratta di atteggiamenti spirituali.

Quattro beatitudini e quattro cosiddette maledizioni, che però è un termine non preciso: si dovrebbe dire quattro lamentazioni su altrettanti morti.

Non si parla di categorie sociali: poveri sono coloro che hanno scelto la povertà, i discepoli, per seguire Gesù. Povertà come libertà. Si tratta di vivere il presente con occhi e qualità diverse.

Paolo VI diceva:

Chi non ha ascoltato le beatitudini non conosce il Vangelo. Chi non le ha meditate non conosce Cristo.

Le beatitudini si possono riassumere in una: la beatitudine della fede. Il centro e il fondamento di ogni beatitudine è la fede in Dio, presente tra gli uomini nella persona del Cristo.

 

Per capire le beatitudini:

  • Tenere presente il procedimento letterario di Gesù
  • Tenere presente Il contenuto

 

Procedimento letterario: a “forma di scala”, permette di lettere il testo nei due versi, a partire dalle prime parole, per arrivare alle ultime, oppure partire da queste e risalire alle prime.

Ci sono vari esempi nella Bibbia: il decalogo può essere letto così,

così pure il Padre nostro.

E’ un tipo di lettura che è giustificato: sono due prospettive diverse. La prima è dall’alto verso il basso, la seconda dal basso verso l’alto.

Significa che l’esperienza di Dio può essere fatta in modi diversi.

 

Il brano di Luca, letto dalla fine al principio, culmina nella beatitudine della povertà, che segna il punto più alto della libertà umana, e per accederci è necessario incominciare ad aver paura del plauso umano.

 

Detto questo del procedimento letterario, vediamo un po’ il contenuto.

Si può metterlo a confronto con il decalogo, ma anche con il Sermone di Benares del Buddha.

Il Decalogo si sofferma sul fare:  onora, santifica, non desiderare, non uccidere, non rubare

Il Sermone del Buddha, enunciando le quattro nobili verità della sofferenza: origine della sofferenza, estinzione della sofferenza, sentiero verso l’estinzione della sofferenza, addita la via della fuga dal mondo per liberarsi della sofferenza.

Mosè insiste sul fare dell’obbedienza, Buddha sul fare come fuga.

 

Gesù non insiste su ciò che i suoi discepoli devono fare, ma su ciò che devono essere.

La posizione del discepolo nei confronti del mondo è al margine: “Guai a voi se gli uomini parleranno bene di voi”, correrebbero il rischio di non essere annunciatori della Verità, ma falsi profeti in cerca di applausi e successo.

Primo passo verso la povertà-libertà è una interiore trasformazione qualitativa che rende il discepolo diverso dall’uomo ordinario che cerca la gioia della sazietà dei sensi, e del successo e della ricchezza.

In questo cammino le difficoltà con il mondo saranno costanti: odio, bando, accuse di follia e di scelleratezza….

 

L’unico assillo del discepolo è quello di interrogarsi sulla qualità della personalità interiore. Luca ne enumera tre: il pianto, la fame, la povertà.

 

Il pianto: nasce dalla partecipazione attiva all’infinito patire dell’uomo, degli oppressi, emarginati, dimenticati. Il pianto che sgorga dalla lotta personale per superare l’egoismo della materia. Il pianto che apre la porta alla pace armoniosa dello Spirito.

 

La fame: che è partecipazione al dramma degli affamati di fame fisica, e degli affamati di vita vera e infinita. I poveri, gli ammalati, i randagi, gli abbandonati chiamano i discepoli con la loro fame, il loro bisogno di essere pienamente uomini.

La fame di verità stimola i discepoli a capire la fame di ogni uomo.

 

La povertà: vivendo il pianto e la fame sono in grado di varcare l’ultima soglia del Regno di Dio: la povertà-libertà, la spogliazione del troppo umano. Il cammino va verso la ricomposizione in unità del divino e dell’umano.

Essendo schivi del plauso e del successo dei grandi, e paventando l’amicizia delle masse, saranno pronti al compimento del volere divino, sensibili e capaci di cogliere a qualunque implorazione venga dall’uomo.

La povertà-libertà rende puri i loro sensi:

non domandano amore, amano;

amano e non domandano le solite risposte della carne: il contraccambio, la riconoscenza, i seguaci.

Sono divenuti un pane sulla mensa di Dio e su quella dell’uomo, e attendono con gioia la consumazione della vita.

Da testo di Giovanni Vannucci