Domenica delle Palme 2020

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Il testo della “passione di Gesù” per quest’anno liturgico è tratto dal Vangelo di Matteo

dal versetto 14 del capitolo 26 a tutto il capitolo 27 (Mt.26,14-27,66).

Trovare il tempo di rileggerlo sarebbe davvero opportuno.

 

Di seguito solo alcune -parziali- sottolineature che possono aiutarci ad approfondire

 

 

Il Vangelo che sta all’inizio della Settimana Santa, la settimana centrale della vita -non solo liturgica- del credente si apre in modo inaspettato: “In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». … Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.”

 

Il tradimento

Gesù sarà consegnato nelle mani di coloro che lo condanneranno e lo uccideranno, Lui stesso l’aveva anticipato qualche tempo prima, ma è davvero tragico che ciò sia reso possibile dal tradimento di uno dei suoi!

La cosa si fa addirittura imbarazzante, per chi segue la vicenda di Gesù e dei suoi discepoli, quando, alla frase di Gesù: “uno di voi mi tradirà”, tutti, nessuno escluso chiederà “sono forse io, Signore?”

E’ che noi sappiamo (ma cosa sappiamo poi?) come stanno le cose e quindi non ci sorprende che questa situazione di tradimento e di dubbio profondo di ogni discepolo, sulla propria capacità, volontà, determinazione di seguire il Cristo sia collocata durante l’ultima cena, proprio nel momento dell’istituzione dell’Eucaristia!

E’ il momento della verità, della vita così com’è, è il momento della realtà delle cose.

Sì, questo è l’Eucaristia: il momento della concreta realtà delle cose.

Cristo che dona la sua vita, che si offre a noi con tutto quello che ha, che non risparmia nulla, il momento in cui mette la sua vita nelle nostre mani: la realtà è che in Cristo, Dio si fida di noi, ci dimostra questa fiducia con un amore incondizionato.

La realtà è che Cristo Gesù si dona a noi nel momento del tradimento.

Viene tradito da Giuda, ma tutti sono “incapaci di vegliare”, viene lasciato solo nel momento più drammatico della sua vita, viene rinnegato da Pietro e da ciascuno dei “suoi”: tutti scappano.

 

Sono inutili, non servono a niente. Siamo inutili, non serviamo per nulla a Dio!

…domenica scorsa alla morte di Lazzaro dicevamo dei nostri pensieri:

che utilità abbiamo di un Dio che non c’è quando ci serve?

 

Dio, in Gesù Cristo che si dona nell’eucaristia in questo contesto di tradimento. ci annuncia un Vangelo di straordinaria importanza: Dio non ci sceglie perché gli siamo utili, ma per offrirci il suo amore; non si fida di noi perché siamo eroi, ma perché ci ama.

Non siamo capaci di testimonianza credibile e di trasparenza di fede a prescindere, non per questo Dio ci ama: non si mette Cristo nelle mani dei suoi perché sono persone affidabili, eroici nell’amicizia!

Ma perché, amati per ciò che sono, scelti e accolti nella verità/fragilità della oro vita, facendo esperienza di un amore incondizionato saranno un giorno capaci di comunicare/annunciare l’esperienza di essere stati amati da Dio

Siamo capaci della forza della testimonianza, di annunciare con coraggio nella nostra vita, la fede nel Signore, solamente perché abbiamo fatto esperienza (stiamo facendo esperienza) del suo amore per ciò che siamo.

L’eucaristia è questo: “prendere” – “benedire” – “spezzare” – “dare”       > (cfr. Mt.26,26)

Riconoscere il dono che Dio fa a noi in Gesù Cristo, accogliere questo dono, benedire per ciò che riceviamo, condividere ciò che siamo, vivere la nostra vita in una prospettiva di dono.

 

…se la celebrazione liturgica dell’eucaristia prendesse il sopravvento sulla realtà concreta saremo in una situazione di idolatria!

 

La violenza

“Rimetti la tua spada al suo posto … credi che il Padre mio,

non metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli?”

 

Ogni promessa di Dio si compie nel fatto che lui si offre a noi che lo accogliamo.

Da sempre però le logiche che ci muovono sono alquanto diverse: invece di aprire la mano per ricevere e dare, la chiudiamo per possedere. I mezzi per impadronirci, per possedere, sono i denari, le spade, i bastoni. Sono le carte con cui giochiamo, e ci giochiamo, la vita, con cieca ostinazione.

 

Dal testo della “passione” un appello che non ammette repliche o interpretazioni; la violenza mai!

 

Mai, neppure quando si ha ragione, la violenza non è mai una scelta che possa aiutare, in qualche modo, alla propria o altrui vita, men che meno alla verità delle cose.

Dall’agire di Cristo che si dona nelle nostre mani, dalle nostre mani che l’accolgono nell’eucaristia, non potrà mai avere giustificazione alcun tipo di violenza, alcun gesto di violenza, alcuna parola che istighi all’odio o alla violenza!

L’eucaristia, che è la vita del cristiano, il suo stile di pensare, di decidere e di agire non è mai compatibile con gesti o parole di violenza.

Questo aspetto lo dovremmo metabolizzare, ancora non ci appartiene, la violenza si nasconde, perfidamente, in tanti gesti e in tante parole diffusamente accettate.

 

I discepoli fuggono. Fuggono perché deboli. Fossero stati più forti, più potenti, probabilmente avrebbero opposto resistenza, avrebbero combattuto avrebbero ammazzato.

Troppo spesso non sappiamo trovare il nostro posto: o siamo avversari o scappiamo; o eliminiamo l’altro o ci dileguiamo noi; o gridiamo parole gravide d’odio e di risentimento o tacciamo …

essere umani difronte all’ingiustizia, tenere la schiena dritta davanti ai potenti di turmo, rispettare la verità difronte a chi urla falsità, non è cosa semplice, molto spesso facciamo come i discepoli: scappiamo!

Gesù si consegna a noi, quello che di vero doveva fare l’ha fatto, ha offerto abbondanti segni di vita e ora si consegna con la sua stessa vita.

Nel consegnarsi nelle nostre mani si lascia prendere da tutto il male, tutto l’odio, tutta la violenza, tutta la cattiveria di cui siamo capaci. Lasciandosi prendere da tutto questo nostro abisso Gesù non agisce, non reagisce ma patisce: “comincia qui” la sua passione.

Se con la sua azione simbolicamente ha beneficato qualcuno, con la sua passione porta il male di tutti: il Cristo mite ed umile si fa carico della nostra violenza, che su di lui esaurisce la sua carica, e si spegne. Non risponde al male con il male, ma con il dono e il perdono. Alla condanna di morte risponde togliendo “il muro di separazione” che gli uomini avevano innalzato con Dio e “per riconciliare tutti con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia.” (cfr. Ef 2,13-18)

 

Ciò che Matteo ci riporta in questo testo, non va inteso come il resoconto fedele di un fatto accaduto un giorno di aprile dell’anno 30, ma come l’affermazione di un teologo che, nel momento della morte di Gesù, si rende conto della nascita di un mondo nuovo.

Il suo è un messaggio di speranza, inviato a tutti coloro che sono nell’angoscia e nel dolore, che si sentono imprigionati in tenebre di morte. Il regno di Dio, questo mondo nuovo, è iniziato quando, sulla croce, il Signore – a risposta della violenza, del male e dell’odio – ha rivelato tutto il suo amore e la sua fiducia per il destino di ognuno e di ciascuno.

 

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”

Il grido di Gesù, fisicamente legato allo stato di soffocamento di cui muoiono i crocifissi, prende voce nel primo versetto del Salmo 21, e lancia nel vuoto una domanda che sembra non trovare risposta. Ma sarebbe proprio il caso di leggere tutto il salmo – era cosa normale, al tempo, per indicare la preghiera di un salmo indicarne le prime parole – proprio perché è una preghiera che si inoltra tra desolazione e speranza, ma che termina in modo glorioso, e in sé costituisce uno schema di lettura di tutta la storia, dalla morte alla risurrezione. Nel suo procedere, il salmo è anche una lettura di ciò che prova il credente, chiamato pur sempre a misurare la sua fede davanti a un “segno di contraddizione” qual è il segno della croce…

e questa è la commovente conclusione del salmo: “E io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: Ecco l’opera del Signore!(Sal. 21,30-32)

 

Solo Matteo parla delle “guardie poste a custodia del sepolcro” (Mt 27,62-66): sono il segno del trionfo del male. La loro presenza testimonia che il giusto è stato vinto, il liberatore ridotto al silenzio, chiuso per sempre in un sepolcro.

È l’esperienza che tutti facciamo: il male dà sempre l’impressione di essersi assicurato un trionfo definitivo, tale da far considerare sogni le speranze di giustizia del povero, del debole, dell’indifeso.

 

Ma è il trionfo dell’effimero, anzi è la stupidità e l’arroganza del potere che, alleatosi con il male, s’infrange sulla verità delle cose, sulla realtà della vita.

Perché inatteso l’Angelo del Signore, farà rotolare ogni pietra che impedisce il cammino della vita e si siederà su di essa (Mt 28,2) e i soldati, posti a difesa dell’ingiustizia e dell’iniquità, fuggiranno atterriti dalla sua luce (Mt 28,4).

Testimoni della risurrezione tutte quelle donne e tutti quegli uomini, angeli del Signore in tutti i tempi e in tutte le latitudini, che giorno dopo giorno fanno rotolare le pietre dell’ingiustizia, del rancore, della violenza e della cattiveria. Angeli del Signore quegli uomini e quelle donne, artefici del mondo nuovo, che ci aiutano a riprendere ogni giorno con speranza il cammino della Vita. Quella Vita che ci parla giorno dopo giorno della fiducia e dell’amore che, nell’eucaristia, Cristo offre a ciascuno.