Omelia domenica 27^ t.o. C – 02 Ottobre 2016

La pianta del gelso è abbastanza grossa, con radici profonde e larghe: è impossibile toglierla via con le radici e piantarla di nuovo; e poi in fondo al mare, che senso ha?!  E’ un’immagine assurda, paradossale che il Signore usa per farci capire che anche con poca fede, ma vera-autentica, possiamo compiere cose che sembrano esagerate.

Cerchiamo di capire allora chi ha veramente fede.

Se Dio  può tutto, conosce tutto e ama sempre, viene da sé che il nostro bene è appoggiarsi a Lui, accettare quello che Egli ci dice, aderire senza incertezze alle sue decisioni. Se siamo sicuri che Dio è presente alla nostra vita ed ha cura di ciascuno, ci affidiamo senza perplessità.

  E allora  la pazienza diventa segno di fede nella attesa che la situazione si evolva, sapendo che è Dio che la conduce; la forza di resistere al male e di perseverare nel bene a costo della vita è ancora segno di fede perché è Dio la sorgente del bene.

La fede ci fa capire qual è il compito affidatoci da Dio in questa vita e ci fa evitare di compiacerci quando abbiamo adempiuto il nostro dovere o di esigere la ricompensa o l’esaudimento delle nostre preghiere. Sarebbe come quando i genitori fanno il regalo al figlio che è stato promosso: la promozione è già il premio per il dovere compiuto.

La fede ci dice che abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare: siamo semplici servi, servi ordinari, non abbiamo fatto niente di speciale. Che cosa è nostro dovere? Amare Dio e il prossimo in modo disinteressato, senza aspettarci niente in cambio. L’unica ricompensa è l’approvazione di Dio del quale ci siamo fidati.