Omelia domenica 28^ t.o. C – 09 Ottobre 2016

Naaman lebbroso cerca la salute; la condizione per ottenerla è di bagnarsi nel fiume Giordano. Anche i lebbrosi chiedono la guarigione; la condizione è di andare dai sacerdoti. Ottenuto l’esaudimento della loro preghiera, sentono il dovere della riconoscenza: qualcuno però preferisce essere ligio alle condizioni poste passando sopra alla riconoscenza e sottovalutando il rapporto personale che si è creato con la guarigione.

Naaman infatti si accorge che Dio gli è venuto incontro, ha voluto incontrarsi con lui: il Dio di Israele è sì il Dio di tutta la terra, ma è anche il Dio personale che si è interessato di lui. Così il lebbroso che ritorna si getta ai piedi di Gesù, loda Dio e ringrazia: la guarigione è l’occasione per una relazione nuova con chi ha avuto questa attenzione privilegiata con lui.

Naaman e il lebbroso si sono sentiti amati! Ed hanno risposto con la fede.

Il dono che Naaman ha offerto al profeta Eliseo e il gesto della terra di Israele portata con sé, e il grazie del lebbroso prostrato davanti a Gesù partono dalla fede, sono espressione di fede, nata da un atto di amore di Dio per la sua creatura.

La fede allora è la vera guarigione: la nuova condizione in cui si trovano non è quella di persone risanate nel corpo, ma di persone che non vivono più da sole: Dio vive con loro.

“Va’ la tua fede ti ha salvato”: Naaman carica due muli con la terra di Israele per poter stare sempre nel luogo dove ha incontrato Dio.

 

Ci siamo mai sentiti guariti da Dio? Dio non ci ha mai toccato per farci tutti nuovi, per non essere troppo preoccupati della salute, dei meriti, dei peccati, ma per sentirci solo amati da Lui?