Omelia domenica 29^ t.o. C – 16 Ottobre 2016

Continuiamo a individuare sulla scorta del Vangelo le condizioni per essere discepoli di Gesù: non possiamo esserlo se non abbiamo fede. Seguire Gesù e non aver fede sarebbe un controsenso. Gesù ci chiede di fidarci di lui, di affidarci alla potenza di Dio.

Dobbiamo riconoscerla la potenza di Dio, ma dobbiamo altrettanto ammettere la povertà dell’uomo, l’incapacità dell’uomo di sconfiggere un nemico ( I ^ lettura) e di ottenere giustizia (vangelo).

Immaginate una linea verticale che parte dall’alto e scende giù: in alto c’è Dio, in basso siamo noi creature che guardiamo in su.

Ecco allora la preghiera! Quanto più facciamo il vuoto e sentiamo la nostra povertà, tanto più è vera la nostra fede e sincera la nostra preghiera. Se cominciassimo a risalire su quella linea e presumessimo di essere qual cosina di più, noi già escluderemmo in parte Dio. Adamo ed Eva addirittura hanno risalito fino in alto e si sono messi al posto di Dio annullando ogni tipo di preghiera anche quella di pentimento. Se presentiamo a Dio qualche merito, la preghiera diventerebbe un baratto; invece pregare vuol dire chiedere un dono senza pretendere, non ci spetta niente di diritto da Dio.

La preghiera ci mette nel giusto rapporto con Dio: siamo figli e come tali confidiamo nella provvidenza del Padre: questo è il nostro unico appello. Dio sa già ciò che ci occorre per vivere, confidiamo perché ci vuol bene. La nostra preghiera è per scuotere il cuore del Padre, per dirgli che siamo contenti e onorati di essere considerati suoi figli e aspettiamo il suo amore.

La nostra insistenza nella preghiera non è per impietosirlo , ma per confermare in noi la convinzione che non possiamo fare senza di lui, che non possiamo vivere se non ci sentiamo amati e protetti.