VI° domenica di Pasqua – anno C 26 maggio 2019

Gv 14,23-29

Siamo ancora nei discorsi dell’ultima cena di Gesù, siamo dentro i discorsi finali, dentro il testamento-congedo di Gesù ai suoi discepoli.

Gesù parla del suo ritorno al Padre e dell’invio dello Spirito, ma i discepoli non sono in grado di vedere il futuro.

Non capiscono la separazione fisica, non capiscono che ci può essere un altro modo di incontro con il Signore, perché capiscono solo le realtà fisiche, materiali.

Così diventa il cristianesimo quando si piega su se stesso, per mancanza di tensione spirituale e di sguardo in avanti e in profondità.

Senza il distacco, senza la messa in crisi del modo di vedere solo in modo materialmente il problema religioso, non si può diventare capaci di comprendere la presenza e l’opera dello Spirito.

Aderire al cristianesimo in modo formale, e non accettare di vivere le crisi di fede, ci porta a non vedere e a non vivere lo Spirito.

La promessa dello Spirito: fondamentale per ogni comprensione, sia della parola di Gesù che della sua presenza e della sua verità.

L’infedeltà allo Spirito, purtroppo sempre presente, è una delle forme più negative di dichiararsi cristiani.

Ma questo non impedisce allo Spirito di continuare a svolgere la sua azione nel mondo delle anime e nel mondo della storia.

Come riconoscerlo?

Non certo da soli, sarebbe molto pericoloso: sarebbe una grande presunzione.

La chiesa è il luogo della manifestazione, perché la chiesa è riunita non dalla nostra volontà.

La chiesa ci rende capaci di Spirito.

Lo Spirito insegna e ricorda la Parola di Gesù, non ci saranno altre parole più importanti di questa.

Cos’altro dice Gesù?

Parla dell’amore. Ma non ne parla in modo retorico, come sentiamo fare spesso.

Amore che è ascolto della Parola che poi fa sì che Dio stabilisca il luogo della sua presenza nella vita dell’uomo: non c’è più un tempio esterno all’uomo, ma l’uomo è tempio di Dio.

Riusciamo a vivere questa identità?  A riconoscerci come tali? A pregare un Dio interiore a noi stessi?

Metro di misura non sono i sentimenti o i modi semplicemente umani di amare. Il metro di misura è l’amore di Dio e la sua misericordia.

Solo così saremo capaci veramente di amare, anche i nemici o coloro che non conosciamo o coloro che non hanno nulla da condividere con noi.

Un modo nuovo di amare, un riferimento nuovo, un amore che ci rinnova.

Possibile solo attraverso lo Spirito.

Uno Spirito che ci conduce alla verità, che ci porta alla pace vera, non quella del mondo.

Ma per fare questo è necessario che Gesù si distacchi.

Che vada al Padre.

Che si impari a riconoscerlo in modo diverso, non più nella forma materiale.

 

  1. Cristiano